Il CASO DI DIANA BIONDI: CHI HA FALLITO?

A cura di

Vincenzo Seraponte

Alessandra Secondulfo

Federica Ugliano

Carlo Esposito

 

“Non posso parlare”, tre parole, le ultime che la giovane studentessa Diana Biondi ha scritto al padre prima di perdere per sempre la possibilità di dar voce ai suoi pensieri e alle sue preoccupazioni.

 

La vicenda shock che ha sconvolto la città di Somma Vesuviana ha inizio lunedì 27 febbraio, quando la giovane ha mentito alla sua famiglia per l’ultima volta, dicendo che si sarebbe recata all’Università Federico II, dove frequentava la facoltà di Lettere Moderne.

 

Da quel momento, nessuno ha più avuto sue notizie, fino a mercoledì 1 marzo, quando il suo corpo è stato notato da un gruppo di persone in località Santa Maria a Castello, in un dirupo presso l’ex ristorante “Il Canguro” nel comune di Somma Vesuviana.

Il primo a cercare di mettersi in contatto con la ragazza era stato il padre Edoardo, che più volte nel corso della giornata, non avendo sue notizie, aveva chiamato e inviato messaggi alla figlia. 

Allarmato dal suo silenzio, si era rivolto anche alla redazione di “Chi l’ha visto?”, la cui troupe era stata ospitata dal Sindaco del comune, Salvatore di Sarno, che si è da subito dimostrato disponibile e vicino ai familiari per capire dove fosse finita la ragazza. 

 

I GIORNI PRIMA DELLA SPARIZIONE, SEMBRAVA TUTTO NORMALE

 

Stando alla testimonianza della famiglia, una settimana prima, Diana aveva annunciato che martedì 28 febbraio avrebbe discusso la tesi di laurea, conseguendo l'agognato titolo di “dottoressa”. 

In famiglia erano iniziati i ferventi preparativi per l’evento tanto atteso. 

Nessuno poteva immaginare ciò che sarebbe successo. 

In realtà la ragazza non ha mai raggiunto il suo ateneo, infatti, dopo aver osservato le riprese delle telecamere della Stazione locale è stato scoperto che la ragazza non avrebbe mai preso il treno diretto alla sede universitaria.

LA RICOSTRUZIONE DEGLI INQUIRENTI 

 

Il giorno della sua comparsa, in base alla ricostruzione della dinamica eseguita dagli inquirenti, Diana, forse in preda alla disperazione, ha raggiunto il punto più alto della cittadina in cui abitava e si è lanciata nel vuoto.

 

Solo dopo la scoperta del suo cadavere sono iniziate le ricerche nella vita della ragazza ed è venuto fuori che Diana in realtà non era in linea con il suo percorso di studi e le mancava un esame, quello di Latino.

 

Quindi, lo scenario reale era ben diverso da quello promesso ai suoi genitori.

La paura di fallire, il terrore di deludere le aspettative familiari, non saper accettare i propri limiti e cercare sempre di apparire meglio di ciò che si è davvero: sono tanti i fattori che potrebbero aver influenzato questa scelta, ma l’unica certezza che abbiamo è che siamo dinanzi alla morte di una giovane ragazza che aveva un mondo da scoprire e ha scelto di non farlo.

 

Sono centinaia, forse migliaia gli studenti che abbandonano le proprie passioni perché soffocati da un sistema scolastico che pretende alunni modello, che per soddisfare le proprie aspettative e quelle altrui sono sottoposti ad uno stress continuo affinché vengano giudicati con la valutazione più alta.

Occorre cambiare questo sistema dalle radici affinché la scuola assuma nuovamente il ruolo di sede dove imparare divertendosi, e non più quello di fabbrica che produce studenti in serie veicolati verso un destino già segnato.

 

 

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